Niente cittadinanza dopo 5 anni: il referendum fallisce, affluenza ferma al 30% – Milano non basta a salvare la consultazione

Il referendum che avrebbe potuto introdurre la cittadinanza italiana per gli stranieri residenti da almeno cinque anni è ufficialmente fallito. Con un’affluenza ferma al 30% su scala nazionale, ben lontana dalla soglia del 50% + 1 richiesta per il quorum, nessuno dei cinque quesiti è stato considerato valido. Tra questi, il più discusso e simbolico riguardava proprio la possibilità per gli stranieri residenti in Italia da almeno 5 anni di ottenere la cittadinanza in modo semplificato.
La questione aveva acceso un acceso dibattito, soprattutto nelle grandi città, dove il tema dell’integrazione è sempre più attuale. Milano, in particolare, si è distinta come una delle poche città italiane in cui l’affluenza è stata sopra la media nazionale, arrivando in alcuni quartieri al 38%, ma ciò non è bastato a ribaltare l’esito di una consultazione che, alla prova dei fatti, non ha mobilitato l’opinione pubblica.
Una proposta divisiva ma centrale
Il quesito sulla cittadinanza mirava a modificare l’attuale legge del 1992, che prevede un percorso lungo e spesso tortuoso per gli stranieri che vogliono diventare cittadini italiani. Oggi, un cittadino non comunitario deve vivere legalmente in Italia per almeno 10 anni, dimostrare redditi stabili, assenza di precedenti penali e, in alcuni casi, superare test linguistici o di cultura civica.
Il referendum proponeva di ridurre il periodo minimo a 5 anni di residenza continuativa e regolare, aprendo la strada a una riforma più inclusiva, in linea con le esigenze di una società sempre più multiculturale. Una proposta che avrebbe avuto un impatto concreto soprattutto in città come Milano, dove oltre il 20% della popolazione è composta da cittadini stranieri. Molti di loro vivono, studiano, lavorano e pagano le tasse da anni, ma restano esclusi dai pieni diritti civili e politici.
Milano: una metropoli più avanti del Paese?
Il fallimento del referendum non sorprende del tutto, ma lascia l’amaro in bocca a chi, soprattutto nelle grandi città, ha creduto in questa occasione come strumento per aggiornare un sistema considerato obsoleto. A Milano, l’alta concentrazione di cittadini stranieri, l’attivismo delle associazioni e una maggiore sensibilità alle tematiche sociali hanno spinto una parte significativa della popolazione al voto. L’affluenza in città è stata tra le più alte in Italia, segnale di un’attenzione viva e consapevole.
Nonostante ciò, la capitale economica e culturale del Paese non ha potuto da sola compensare il disinteresse registrato nel resto d’Italia. In molte province, soprattutto del Sud e del Nord-Est, l’affluenza è rimasta sotto il 25%, con punte minime inferiori al 20%.
Gli altri quesiti: giustizia, diritti e riforme, tutti invalidati
Oltre alla cittadinanza, il referendum proponeva altri quattro quesiti:
- La modifica della custodia cautelare preventiva;
- L’abolizione dell’obbligo di voto per i magistrati nei consigli giudiziari;
- La separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri;
- L’introduzione di limiti più stringenti ai mandati dei parlamentari.
Temi complessi, spesso tecnici, che non hanno acceso l’interesse dell’opinione pubblica, anche per via di una campagna referendaria poco incisiva e poco comprensibile ai non addetti ai lavori.
Perché ha vinto l’astensione
Il dato più evidente è che ha vinto l’astensione. E non si tratta solo di disinteresse, ma di una strategia politica consapevole. Alcuni partiti e movimenti – sia a destra che a sinistra – hanno esplicitamente invitato a non votare, per evitare il raggiungimento del quorum. Questa mossa, già utilizzata in altri referendum, si è rivelata ancora una volta efficace, alimentata da:
- Una scarsa copertura mediatica;
- L’assenza di dibattiti pubblici strutturati;
- La confusione tra i cittadini, che spesso ignoravano il contenuto dei quesiti;
- Una crescente sfiducia verso le istituzioni e la sensazione diffusa che il voto non porti a cambiamenti reali.
La reazione politica
A urne chiuse, il dibattito politico si è riacceso. Da un lato, i promotori del referendum denunciano il “boicottaggio istituzionale” e chiedono che venga ripensato il sistema referendario, magari eliminando il quorum. Dall’altro, gli oppositori sottolineano che l’astensione è a sua volta una forma legittima di espressione democratica, e che l’ampia diserzione dalle urne rappresenta un messaggio chiaro.
Il Governo, almeno per ora, non sembra intenzionato a riprendere in mano nessuno dei temi proposti, compreso quello della cittadinanza. “Il referendum ha parlato, e ha detto no”, è il commento sintetico rilasciato da ambienti vicini all’esecutivo.
Cosa succede ora? Nessun cambiamento, ma il problema resta
Con il fallimento del referendum, tutto resta com’è. Gli stranieri che vivono e lavorano in Italia non vedranno alcuna semplificazione nel percorso verso la cittadinanza. La normativa attuale – tra le più rigide d’Europa – continuerà a escludere per anni milioni di persone dalla possibilità di partecipare pienamente alla vita democratica del Paese.
A Milano, dove la convivenza multiculturale è ormai parte integrante del paesaggio urbano, questa decisione suona particolarmente stonata. L’Amministrazione comunale, da tempo schierata a favore di una riforma, ha già annunciato che continuerà a promuovere progetti di integrazione e cittadinanza attiva, anche senza il supporto normativo dello Stato.
Una battuta d’arresto, ma non la fine del dibattito
Il fallimento del referendum è senza dubbio una sconfitta per chi chiedeva riforme, ma non è detto che il tema della cittadinanza torni a lungo nel cassetto. La pressione demografica, l’evoluzione sociale e le richieste che arrivano dai territori – soprattutto dalle grandi città come Milano, Bologna, Torino – mantengono vivo il dibattito.
Come ha dichiarato un attivista milanese al termine dello spoglio:
“Abbiamo perso una battaglia, non la guerra. Il Paese è indietro, ma le città sono avanti. Tocca a noi non mollare.”
Meno male che il referendum è fallito! E spiace che proprio Milano dove la criminalità di strada impazza per colpa proprio degli extra comunitari viva ancora di ipocrisie e utopie snob e radical chic!